In un mercato che sta cambiando velocemente e in modo profondo, da cosa possiamo farci guidare? Dall’istinto, dall’esperienza e senza dubbio dai dati.
Nel settore Automotive possiamo contare sulle analisi puntualissime del Centro Studi Fleet & Mobility che da tanti anni analizza e rappresenta le diverse aree del settore dando una lettura chiara e ponendo gli interrogativi che ogni imprenditore dovrebbe porsi prima di definire le strategie aziendali per il futuro.
Il 21 ottobre, in una sala strapiena nella splendida cornice di Palazzo Rospigliosi, siamo stati ospiti dell’edizione Consumer de La Capitale Automobile.
Tra i grandi temi trattati: il mercato e l’indotto, la transizione ecologica, il modello di business. Tanti e di qualità gli speaker chiamati ad analizzare i dati fra i quali: Andrea Alessi (VW), Fabrizio Faltoni (Ford), Luigi Lucà (Toyota), Massimo Nalli (Suzuki), Gianluca Pellegrini (Quattroruote), Gaetano Thorel (Stellantis), Giuseppe Bitti (Kia) e Roberto Pietrantonio (Mazda).
Tracciamo i principali spunti di riflessione
Il 2022 ha segnato un ulteriore decremento delle immatricolazioni nonostante un aumento della ricchezza prodotta. Un fenomeno dovuto ad un sistema produttivo che ha visto, è vero, un forte rallentamento, ma con un passaggio importante da una logica di efficienza (produrre il più possibile al minor costo) ad una di efficacia (produrre senza sovraccarichi con la massima marginalità). Inoltre negli ultimi anni abbiamo assistito ad un graduale aumento medio dei listini che sono passati dai 18.000 euro del 2006 ai 24.000 euro del 2021.
Dunque meno vetture nuove sul mercato e sempre più care, con un acquirente sempre più disposto ad acquistare prodotti con dotazioni tecnologiche d’avanguardia e maggiormente rispettose dell’ambiente.
La prima domanda che si pone il mercato è: il milione e mezzo circa di immatricolazioni attese rappresenta il nuovo equilibrio a cui tenderà il mercato anche in futuro o possiamo aspettarci un nuovo rialzo più vicino ai due milioni di vetture ante Covid?
Le ipotesi
Possiamo provare ad ipotizzare uno scenario nel quale le case costruttrici, come già stanno facendo, abbandoneranno ancora più incisivamente la logica dei volumi in favore di una logica della marginalità presupponendo, insieme ad essa, un nuovo assetto culturale ancor prima che strutturale, del marcato. E’infatti ipotizzabile che il disegno, che strizza l’occhio alle necessità ambientali (e quindi anche agli incentivi di natura economica), sia quello che in futuro vedrà ridurre la mobilità privata in favore di soluzioni più elastiche e versatili. Ne conseguirebbe una catena produttiva meno stressata e una transizione ecologica accompagnata da un cambio di paradigma e di abitudini nella mobilità.
Come ci siamo arrivati?
L’ultimo biennio ha visto in sequenza le multe UE per le emissioni, il Covid e ora la guerra. Contingenze che hanno avuto un impatto fortissimo sulla certezza di poter produrre, accelerando il processo di allontanamento da logiche Fabbrica Driven. La centralità del costo di produzione ha lasciato il posto alla certezza di poter produrre, la misura del valore delle aziende verosimilmente non si misurerà più in vetture immatricolate ma in capacità di innovazione (tecnologica, strutturale, organizzativa), il bene centrale si sta spostando sempre più dal “ferro” ai servizi, vera variabile che consentirà alle imprese di sviluppare la marginalità desiderata in modo programmatico e non reattivo.
Che conseguenze per gli operatori?
Viene immediatamente da chiedersi quale impatto avrebbe la nuova logica sull’occupazione del settore. Non solo numericamente è facile pensare ad una diminuzione di posti di lavoro (ad oggi non sono disponibili dati certi) ma anche, forse soprattutto, a nuove tipologie di figure professionali necessarie. Se è vero che il mondo dell’auto sarà sempre più orientato alla qualità dei servizi, all’innovazione tecnologica e all’elasticità degli operatori nell’adattarsi alle mutate esigenze di mercato, è lecito aspettarsi che la figura del “venditore”, già da tempo in fase evolutiva con l’avvento delle vendite online, lasci il posto a consulenti veri e propri in grado di giostrarsi a 360 gradi nel mondo delle tecnologie applicate all’auto con conoscenze trasversali sui prodotti di up e cross selling.
Che ruolo avranno i dealer?
Se la strada è quella di ridurre i passaggi della distribuzione per ottimizzare la marginalità della vendita con l’ingresso direttamente sul mercato delle case, come cambierà l’organizzazione dell’attuale rete? Da un lato la presenza sul territorio di spazi espositivi che consentano di toccare e provare il prodotto si conferma come un’esperienza irrinunciabile sia nel nuovo che nell’usato, dall’altro il passaggio al Contratto di Agenzia è senza dubbio un passo molto incisivo nella direzione di un assottigliamento del ruolo dei dealer. Come stanno affrontando la questione le due parti coinvolte? Come varierà la struttura dei margini e gli obblighi al momento esistenti in termini di strutture espositive, stock, organizzazione aziendale, alla luce delle future condizioni di vendita? Esiste una marginalità sufficiente a tenere in piedi l’intera filiera così come è configurata oggi?
E l’usato?
In questo scenario prende ancora più forza il business dell’usato, sempre più legato alla presenza online e alla capacità di configurarsi come un consulente a tutto tondo in grado di fornire servizi di alta qualità a prescindere dalla vendita o meno di un veicolo. Interessante uno studio a firma Ipsos/AgitaLab che dimostra uno spazio di mercato rilevante (poco meno del 60% delle transazioni sull’usato sono di tipo “consumer/consumer”) legato alla capacità di erogare servizi accessori alla vendita anche senza entrare nel processo di acquisto vero e proprio.
E noi che facciamo consulenza per il settore?
Tiriamo le somme. Andiamo verso un passaggio importante dalla “cultura del ferro” a quella dei servizi, nella quale la percezione del valore sarà più importante del valore effettivo del bene (i brand premium fanno scuola da questo punto di vista). Il benchmark diventa il mondo dei noleggiatori con una chiara dicotomia fra chi produce e chi vende e la conseguente avanzata di una logica “Pull” da parte del distributore. Il cambio del modello porterà verosimilmente a un ulteriore rinforzo del ruolo giocato dal digital nella promozione e lead generation, ad un cambio generazionale (con abbassamento dell’età) nella forza vendita e (c’è da augurarselo) con maggiori quote rosa in ruoli dirigenziali. La strategia dei dealer sarà quella di creare una “esperienza di azienda” accanto a quella di brand (probabilmente gestita interamente dalle Case).
Una azienda come Integrare si posiziona di sicuro sul lato territorio a supporto di quelle esperienze che hanno a che fare direttamente con l’azienda e meno con il brand. Mi viene subito da pensare a un parallelismo fra il mercato che si struttura in grandi Gruppi verso i quali si riverserà la maggior parte della ricchezza prodotta (aziende con fatturati sopra ai 50 milioni) con esigenze di marketing del brand dominato da logiche globali e allo stesso tempo presidio del territorio con logiche sempre più di nicchia e la conseguente riorganizzazione dell’offerta di consulenza che dovrà scegliere se rivolgersi ai grandi players giocando partite che hanno come premio i pochi “sedili” disponibili sul mercato oppure parlare alle realtà locali impegnandosi a comprendere a fondo le esigenze del mercato proponendosi come un supporto quotidiano alle realtà in trincea.
Staremo a vedere.